La spalla è la parte dell’organismo umano tramite la quale l’arto superiore si posiziona nello spazio. Possiede una vasta gamma di movimento accompagnata, a volte, da una rilevante instabilità, in questo articolo andremo appunto ad approfondire le cause e i trattamenti che riguardano l’instabilità di spalla.
Si parla di instabilità quando ci troviamo presente a un eccessivo e doloroso spostamento della testa dell’omero, nella glena, durante il movimento attivo. C’è differenza con la lassità in quanto, quest’ultima non è accompagnata da dolore.
CAUSE E TIPOLOGIE DELL’INSTABILITÀ DI SPALLA
La causa principale della instabilità di spalla è l’evento traumatico che colpisce, ovviamente, qualunque tipo di persona, le microinstabilità invece, sono frequenti in pazienti giovani o negli sportivi che compiono ripetitivamente lo stesso gesto (come negli sport over head che implicano movimenti sopra la testa o in sport di lancio).
Possiamo distinguere tre principali categorie di lussazioni:
- pazienti con instabilità di spalla causata da un trauma chiamata T.U.B.S. (Trumatic Unidirectional Bankart Surgery);
- pazienti con instabilità multidirezionale causata principalmente da una lassità di base chiamata A.M.B.R.I. (Atraumatic Multidirectional Bilateral Rehabilitation Inferior Capsular Shift);
- pazienti con un’instabilità dovuta al ripetersi di gesti sportivi chiamata A.I.O.S (Acquired Instability Overstress Surgery)
A seguito di queste tipologie possiamo ancora distinguere pazienti lussatori volontari e/o con un’instabilità causata da danni muscolari o neurologici.
T.U.B.S. (lussazione traumatica)
Innanzitutto possiamo affermare che, statisticamente, la direzione dell’instabilità traumatica è anteriore nel 95% dei casi, per il 4% posteriore e solo nell’1% inferiore.
Conseguenza di questa lussazione traumatica anteriore, nel 97% dei casi, è la lesione di Bankart, ovvero quando il labbro glenoideo, che protegge il margine della cavità, si distacca da essa, andando a formare una specie di “tasca” nella quale la testa dell’omero va ad inserirsi, si parla invece di “bony-Bankart” quando la componente ossea glenoidea si frattura a causa del trauma o per il ripetersi delle lussazioni; raramente si vedranno bony-Bankart posteriori quando la lussazione avviene posteriormente (anche il cercine, in questi casi, si distacca posteriormente).
Una maggiore perdita di stabilità si avrà quando la glena va incontro ad un peggioramento della sua conformazione assumendo la caratteristica forma a “pera inversa”.
Altro evento frequente in questo tipo di instabilità è la lesione di Hill-Sacks o frattura a strappo che avviene quando vi è una depressione nella testa dell’omero causata da una compressione di questa, contro il bordo glenoideo, la troveremo nella parte postero-laterale della testa omerale nelle lussazioni anteriori e antero-medialmente nelle lussazioni posteriori, chiamata anche lesione di McLaughlin.
In seguito al trauma, si dovrà valutare un eventuale lesione neurologica, tendinea, ossea e vascolare e una volta scongiurato il tutto si procederà con una immobilizzazione del braccio in un tutore per un periodo che varia a seconda dell’età del paziente, in quanto con la giovane età (sotto i 25 anni) aumenta il rischio delle recidive e quindi si consiglieranno 4 settimane di immobilità, mentre nei pazienti ultra sessantenni intorno alle 2 settimane per non andare incontro a problematiche di rigidità eccessiva.
Successivamente la rimozione del tutore, si inizierà la riabilitazione con esercizi combinati e modulati di rinforzo dei muscoli stabilizzatori glenomerali e di allungamento, personalizzati in base alle caratteristiche della lesione e del paziente stesso. Dopo tre mesi si valuterà la forza dei gruppi muscolari dei rotatori tramite dei test, se quest’ultimi risulteranno positivi (90% di forza rispetto al braccio controlaterale) si tornerà alla pratica sportiva o lavorativa .
A.M.B.R.I. (instabilità multidirezionale)
Le instabilità atraumatiche sono presenti generalmente in persone che hanno una predisposizione alla lassità articolare, questi soggetti presentano una capsula elongata nella parte postero-inferiore, ma può essere riscontrata anche in pazienti che hanno subito diversi episodi traumatici; per essere affetto da A.M.B.R.I. deve sicuramente avere almeno due direzioni di lussazione.
L’orientamento della scapola rispetto alla gabbia toracica può favorire questo tipo d’instabilità in quanto più la scapola è inclinata sul piano frontale, maggiore è la tensione capsulare e la pendenza della glena, perciò, viene arrestato lo spostamento inferiore della testa omerale, differentemente, una minore inclinazione frontale aggrava l’instabilità inferiore. Altro fattore predisponente è l’alterazione scapolo dinamica, importante al fine di risolvere questa problematica è il recupero di una corretta propriocezione durante la riabilitazione.
I soggetti affetti da lussazione atraumatica sono frequenti ad avere delle parestesie alle dita dell’arto colpito anche solo tenendolo in posizione di riposo, ovvero lungo il corpo, si potrà notare infatti, una discesa della testa omerale dovuta appunto alla lassità delle strutture statiche. Il rinforzo muscolare è sicuramente la terapia consigliabile in questa forma di instabilità, cosa ancora migliore è farlo in forma preventiva.
A.I.O.S. (instabilità acquisita da gesti sportivi ripetuti)
Rientrano in questa categoria gli sportivi che a causa del ripetersi dello stesso gesto, come può essere il lancio della pallina o il caricamento di una schiacciata, indeboliscono le strutture stabilizzatrici anteriori favorendo lo spostamento della testa dell’omero in avanti, andando in posizione AB-ER (abduzione ed extrarotazione) che risulta dolorosa, in quanto, non essendo più centrata la testa dell’omero, il tendine del sovraspinato viene schiacciato tra il margine postero-superiore glenoideo e il trochite generando così un conflitto postero-superiore. Questi soggetti andranno in contro anche ad una rigidità della capsula posteriore che si manifesta con la difficoltà ad effettuare l’intrarotazione passiva.
La riabilitazione, in questi casi, sarà indirizzata al recupero del tono della parete anteriore e all’elasticità della parte posteriore.
Instabilità volontaria
Si può sicuramente dire che i pazienti che hanno un’ A.M.B.R.I. possono anche essere lussatori volontari. Li accomuna la lassità, la giovane età ed uno scarso tono muscolare insieme ad un buono, ma anche alterato, controllo dei movimenti gleno/omerali e scapolo/toracici; per la maggior parte lo spostamento dell’omero è postero-inferiore.
Oltre a questi aspetti un lussatore volontario viene riconosciuto per la capacità di riprodurre lo stesso gesto spontaneamente senza avvertire dolore, difficilmente lo troveremo “rilassato” in quanto si tratta di un movimento attivo solitamente del braccio dominante. Questi pazienti sono soliti effettuare ripetutamente delle circonduzioni al fine di ristabilire la testa dell’omero in sede, questo gesto viene avvertito come un sollievo.
L’operatore di fronte ad un lussatore noterà una depressione anteriore quando l’omero si sposta nella parte posteriore, sopratutto nei pazienti filiformi, in seguito, mettendo una mano nella parte posteriore della spalla, avvertirà un “click” che determina il ritorno alla posizione fisiologica della testa omerale.
I motivi che spingono questi soggetti a compiere questi gesti sono da ricercare nella sfera psicologica, per questo è sconsigliato l’intervento chirurgico e la riabilitazione è improntata sopratutto nella rieducazione alla “normalità”, quindi evitare di effettuare questi gesti, normalmente risulta molto complicata da gestire.
Instabilità dovuta a deficit muscolari: che cos’è?
La stabilità della testa omerale sulla glena è data da due fattori,: statici e dinamici, i primi sono interessati nelle instabilità che abbiamo appena riportato sopra, e sono il cercine glenoideo, la capsula, i legamenti, la congruenza articolare e la pressione negativa; i secondi, ovvero la cuffia dei rotatori, il tendine del bicipite e il movimento scapolo-toracico, sono i protagonisti di questo tipo di instabilità di spalla.
Le lesioni di cuffia dei rotatori, in particolare antero-superiori quindi del sovraspinato, capo lungo del bicipite e sottoscapolare e il deficit del deltoide (post intervento o neurologico) sono delle caratteristiche che accompagnano questa tipologia di soggetti.
In questi casi la radiografia mostrerà uno spazio sub-acromiale più ampio rispetto al fisiologico, dovuto all’ipotonia del deltoide, e a dimostrazione di questo, sarà presente il classico “solco”.
TRATTAMENTI PER INSTABILITÀ DI SPALLA
Per la scelta del trattamento è indispensabile sapere innanzitutto l’origine dell’instabilità, il numero di episodi avvenuti e quanto decorre dall’ultimo, la presenza di fratture omerali o e/o glenoidee, l’attività sportiva, lavorativa e l’età del paziente.
In seguito alla lussazione il paziente avrà l’arto immobilizzato per 21 giorni circa, periodo variabile in relazione all’età e caratteristiche del paziente poi, come detto sopra, si inizierà la fase riabilitativa composta dal recupero dell’articolarità e della forza dei muscoli stabilizzatori dell’articolazione G/O e dei pivot della scapola.
- Il trattamento conservativo, di almeno 6 mesi, quindi è la terapia consigliata nella maggior parte dei primi episodi, sopratutto in pazienti A.M.B.R.I., ma quando questo fallisce per stabilità, quindi presenza di recidive o dolore, si consiglia il trattamento chirurgico, il quale è suggerito sopratutto in pazienti giovani e sportivi.
- La tecnica chirurgica da scegliere dipende dalla qualità del tessuto capsulare, l’attività sportiva o lavorativa praticata e dalla presenza di fratture ossee omerali e/o glenoidee e può essere: l’ intervento in artroscopia di capsuloplastica o la tecnica di Latarjet, quest’ultima indicata sopratutto per le lussazioni anteriori recidivanti, per l’erosione anteriore di almeno il 10/15% della glena e per una cattiva qualità della capsula anteriore.
Questa tecnica consente una stabilizzazione ossea, in quanto la coracoide, in seguito ad un’osteotomia, viene fissata alla porzione anteriore della glena con due viti; della struttura capsulo-legamentosa, ovvero la capsula si sutura al legamento coraco-acromiale; e della componente muscolare.
- La tecnica artroscopica, invece, consente solitamente un minor dolore post-chirurgico, un recupero più veloce della mobilità e della propriocezione oltre una cicatrice molto meno invasiva.
Entrambe le tecniche, durante il periodo di immobilizzazione, consentono movimenti quali la flesso-estensione del gomito e di prensione della mano per evitare che queste articolazioni si irrigidiscano, favorendo una migliore circolazione.
Il paziente effettuerà, nel corso della riabilitazione, visite mediche di controllo a 1 mese, 3 mesi e 6 mesi dopo l’intervento ed eseguire il test isometrico nei 3 mesi, 6 mesi e 12 mesi successivi. In un secondo tempo si potranno incrementare i carichi di lavoro e nel caso in cui il paziente risponda bene al trattamento, raggiungendo una buona forza e mobilità, potrà ritornare ad una moderata attività agonistica a 3 mesi dall’operazione.
E’ bene specificare che a prescindere dalla tecnica utilizzata, fondamentale è recuperare una buona mobilità, ma si deve specificare che: una ripresa troppo repentina del R.O.M può essere sintomo di un insufficiente tensionamento delle strutture stabilizzatrici con il rischio di recidive; mentre se il paziente è molto rigido, si può pensare ad un’artrosi da capsulopalstica.